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I cinesi eravamo noi
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- Pubblicato Giovedì, 22 Ottobre 2009 18:35
Si fa tanto parlare in questi giorni di posto fisso o posto flessibile dopo le dichiarazione dle ministro dell' economia Giulio Tremonti in cui si elogiava il posto fisso. Per poi prontamente smentirsi che il giorno dopo, sulla scia di Lui,quando ha detto che è stato travisato dai giornalisti cattivoni, e che in realtà lui aveva detto una ovvietà in quanto per come gli avevano posto la domanda era come se gli avessero chiesto se preferisse stare al caldo o al freddo.
La risposta per tutti noi non può che essere una sola: ci piacerebbe stare al caldo di inverno e al fresco d' estate. Siamo un pò veltroniani in questo, poi in cosa si traduca questo seguendo la logica di Tremonti non si sa bene. Forse in qualcosa del tipo mi piace molto il posto fisso però solo se mi piace dove lavoro, guardando un pò il mio collega che non sopporto mi piacerebbe anche essere un pò flessibile, quel tanto che basta per poi ritornare ad essere fisso. Mi spezzo ma non mi piego insomma: si torna sempre li.
Quello su cui concorderemmo invece tutti è che tutti vorremmo guadagnare più di quello che prendiamo, non tanto di più, il giusto.
Perchè in questi giorni si sono evidenziati, al di là delle banalità sulla frase di Tremonti, due punti importanti:
- La flessibiltà è un concetto moderno, mentre il posto fisso è un residuo del passato
- La globalizzazione ha cambiato il mondo e quindi anche il mercato del lavoro
Sembrano due questioni scollegate ma in realtà sono intimamente legate, in particolare in un paese come il nostro con il terzo debito pubblico del mondo, un debito che si è alimentato grazie alle scelte fatte dai nostri padri negli anni 80 e che staimo pagando adesso e pagheremo in maniera ancora più pesente in futuro se non si adattano tempestivi e forse drastici provvedimenti. In secondo luogo con la globalizzazione dei mercati, prende piena forma la teoria economica di Ricardo per cui negli scambi commerciali tra due paesi per accrescere il benessere collettivo ogni paese deve specializzarsi nella produzione dei beni per cui ha un vantaggio comparato. Mi ricordo bene di Ricardo perchè me lo chiesero all' esame di economia. Ci si ritrova quindi a valutare nella produzione di cosa l' Italia goda di un vantaggio comparato in cui conviene specializzarsi. Certo non nella tecnologia che ha segnato nel nostro paese un crollo verticale a partire dagli anni 70: l' Olivetti, la Montedison sono oramai un lontano ricordo. L' Italia non può competere con paesi emergenti come l' India e la Cina che sfornano ogni anno 1 milione di ingegneri (1.000.000!) , che vengono pagati quasi in natura per lavorare.
Rendere il nostromercato del lavoro flessibile, con il prolifere delle false partite iva dei contratti a progetto mascherati da lavoro subordinato, non può essere un modo organico di contrastare questa tendenza, ma al limite può essere una boccata di ossigeno data ad un moribondo. E il tutto a danno dei lavoratori che vedono continuamente mortifcate le loro ambizioni, e calpestati i loro diritti. Non ha senso rincorrere la Cina e l' India su questo piano ed è anzi masochistico.
L' Italia purtroppo al momento, senza una riforma vera ed illuminata, deve puntare sui soliti cliche che tanto fanno felici gli stranieri: pizza, moda, gusto del bello. Non dico mandolino, tanto all' estero stanno già ridendo da un pezzo.
E vorrei ricordare quando dalle parti della Toscana,a Prato, non c'era casa che non avesse nello scantinato una officina di lavorazione della stoffa al fine di battere sul prezzo le costose stoffe inglesi. Una volta i cinesi eravamo noi.